31/07/12

Benessere psicofisico dal veterinario

Benessere psicofisico



Lo studio veterinario per alcuni dei nostri pet potrebbe essere problematico. E' ricco di odori non percettibili all'olfatto umano che potrebbero mettere in difficoltà i nostri amici, è un luogo in cui non sempre si vivono belle esperienze. Atri ancora potrebbero aver avuto una scarsa socializzazione. Portiamo i nostri per dal veterinario facendogli vivere sempre un'esperienza positiva.
Inoltre ricordiamoci che un'adeguata prevenzione mette al riparo da spiacevoli malattie.

28/07/12

Sono un piccolo uccellino

Libertà

Sono un piccolo uccellino | cui i bei voli hanno vietato. | Canto qui e sera e mattino | per colui che m'ha ingabbiato; | e se al Cielo così piace | in prigione trovo pace. || Non si ferma ad ascoltare | quello a cui volgo i miei canti; | si curvò per afferrare | le mie ali un tempo erranti. | Su di me, ecco, improvviso | 
per udirmi piega il viso.
 Louisa May Alcott

12/07/12

Cenni di Referenza Animale





Una qualsiasi difficoltà può essere superata attraverso l'azione referenziale di un altro cane capace di mostrare il modo corretto di affrontare una situazione. Il punto di riferimento del conspecifico è  importante perché attraverso neuroni specchio (imitazione,comprensione, condivisione) permette il passaggio diretto dello stato cognitivo che potrebbe essere problematico per l’altro cane..
Il cane tutor deve avere ottime competenze sociali interattive e comunicative e non essere competitivo nei confronti degli altri cani.







10/07/12

Mente e Linguaggio negli animali. Introduzione alla zoosemiotica cognitiva.



Felice Cimatti, Roma, Carocci, 1998
Recensione di Daniela Manno (30/04/01)
Già nel 1963, il semiologo statunitense Thomas Sebeok, coniò il termine zoosemiotica per intendere quella "dottrina" dei segni, come egli stesso preferiva chiamarla, che attraversando trasversalmente la linguistica, l’etologia e la zoologia, doveva occuparsi dei sistemi di comunicazione del mondo animale non-umano.
Ma con il passare del tempo il campo di ricerca della zoosemiotica è divenuto, quasi esclusivamente, appannaggio dell’etologia.

Felice Cimatti nel libro proposto recupera la visione di Sebeok secondo cui la semiosi attraversa sia il mondo animale umano che quello non-umano ma se distacca procedendo in una direzione diversa. Infatti, guardando la questione da una prospettiva cognitivista, Cimatti, sostiene l’esistenza di una mente negli animali non-umani. Mente, intesa come insieme di abilità, che permetterebbe l’acquisizione di un linguaggio in molti casi complesso, e soprattutto favorirebbe l’intervento di una mediazione cognitiva nel processo semiotico di interpretazione.
Quindi il linguaggio articolato non sarebbe una prerogativa dell’uomo, considerato da molti l’animal simbolicum per eccellenza, ma si potrebbe ritrovare, con diversi gradi di complessità, anche in specie inferiori. La dimostrazione di tale assunto è condotta rifacendosi a quella che è la prospettiva ecologica gibsoniana ovvero quel metodo di analisi che studia le specie viventi in una relazione di circolarità con il proprio ambiente, con il proprio Umwelt (mondo fenomenico soggettivo), per dirla come il biologo estone von Uexküll. I sistemi di comunicazione vengono qui considerati come strutture biologiche ed in quanto tali, influenzati dall’ambiente fisico e cognitivo in cui sono inseriti.
Cimatti, da subito, tiene a sottolineare che la mente é un prerequisito per l’acquisizione e l’uso di un linguaggio, ma che non tutti i sistemi dotati di mente sono capaci di realizzarlo e tanto meno sono capaci di interazioni semiotiche. Moltissime specie infatti agiscono per interazioni dirette secondo quello che è lo schema comportamentista stimolo-risposta. Ciò vale soprattutto per quelle interazioni basate sull’emissione di segnali chimici come i feromoni, presenti nelle formiche e in altri tipi di animali non-umani.
Ma tendenzialmente la capacità di comunicare attraverso interazioni semiotiche è diffusa in larga parte nel mondo animale. Ce lo testimoniano, ad esempio, gli studi degli etologi Seyfarth e Cheney sui cercopitechi, scimmie che vivono nella savana del Kenya, con una vita sociale molto ricca. I cercopitechi utilizzano tre tipi di segnali d’allarme classificando i predatori a seconda se questi arrivino dal cielo o dalla terra, e in quest’ultimo caso se abbiano due oppure quattro zampe. Tali segnali dalle caratteristiche semiotiche, in quanto sono accoppiamenti convenzionali ed arbitrari di contenuto-espressione, dimostrano la capacità cognitiva dei cercopitechi di astrarre concetti dalla realtà formando delle classi di significato funzionali ai propri bisogni. Sanno, inoltre, tenere conto del contesto tanto è vero che se sono soli non emettono nessun segnale e provvedono a nascondersi, e del cotesto ovvero di precedenti segnali emessi da altri individui del proprio gruppo.
Inoltre animali dotati di mente sanno gestire la variabilità, elemento che differenzia la comunicazione nei sistemi biologici rispetto a quella dei sistemi meccanici, estendendo il significato di un segnale anche a situazioni che non sono referenti dello stesso. La nota danza comunicativa delle api, come evidenziano gli studi di Von Frish, solitamente informa circa la collocazione e la distanza di fiori ricchi di nettare ma viene utilizzata anche per indicare una fonte d’acqua o ancora un sito dove costruire un nuovo alveare, secondo quelli che sono i bisogni del momento.
Un ulteriore dimostrazione del fatto che i sistemi di comunicazione del mondo animale non seguono un modello lineare, è la presenza della menzogna. Può mentire solo chi ha una mente che gli conferisce la capacità di dissociare un segnale dal proprio contenuto. I cercopitechi, ad esempio, spesso emettono segnali di allarme anche quando il pericolo non è presente perché vogliono allontanare un rivale in amore oppure conquistare il cibo dei propri simili.
Inoltre il linguaggio, così come nella specie umana, anche nei non-umani assolve a diverse funzioni come quella di esprimere il proprio stato d’animo, dare ordini, rinsaldare i legami con il gruppo ed informare circa l’ambiente circostante. Viene a tal proposito riportata la classificazione del linguista russo Jakobson delle funzioni presenti in ogni atto comunicativo. Ma siccome tale classificazione è riferita ad uno schema lineare della comunicazione in cui non è prevista la fase della mediazione della mente, Cimatti aggiunge una funzione che chiama "cognitiva", riguardante il cambiamento dei comportamenti nelle specie che posseggono un linguaggio.
I cambiamenti a cui ci si sta riferendo sono dimostrati anche dai numerosi esperimenti fatti dagli anni ’70 ad oggi, ed analizzati nel testo, sulla cosiddetta comunicazione interspecifica, cioè quel tipo di comunicazione che avviene fra soggetti appartenenti a specie differenti.
Da tali ricerche si evince che molti animali ed in particolare gli scimpanzé, hanno la capacità di "segnare" molto bene e di apprendere svariate centinaia di segnali codificati in linguaggi naturali o artificiali.
Le critiche che, però, arrivano a chi pensa che gli animali siano dotati di abilità cognitive tali da acquisire ed usare autonomamente linguaggi complessi, sono molte. I critici ritengono infatti che sia solo un Clever Hans Phenomenon, (fenomeno che prende il nome dal cavallo Hans, ritenuto in grado di svolgere operazioni aritmetiche) ovvero che i risultati conseguiti siano frutto di un ammaestramento e di condizionamenti, anche involontari, da parte degli sperimentatori. D’altro canto condurre esperimenti in una condizione emotion free, cioè senza nessun tipo di coinvolgimento emotivo da parte di chi sperimenta, condizione ideale secondo Sebeok, è a dir poco impossibile o comunque falserebbe i risultati. Nessun individuo di qualunque specie, neanche di quella umana, svilupperebbe un linguaggio se vivesse isolato e non avesse modo di comunicare con un altro essere vivente.
L’autore sostiene che questo tipo di ricerche si rivela utile per osservare le forme di realizzazione della comunicazione interspecifica in modo da poter ricercare quei prerequisiti naturali che sono alla base del linguaggio, compreso quello della nostra specie. Prerequisiti che vengono definiti "universali bio-semiotici" e che indicano un complesso di caratteristiche di ogni linguaggio naturale proprio di un organismo biologico in grado di utilizzare strumenti semiotici.
I linguaggi naturali sono strutture complesse e come tutte le strutture complesse andrebbero analizzati nella loro storia evolutiva, inseriti nelle pratiche sociali e culturali delle nostre società e non nella loro semantica e sintassi prese isolatamente come fa un po’ tutta la linguistica moderna seguendo la posizione di Noam Chomsky. Solo prendendo come riferimento l’evoluzione si può dimostrare che mente e linguaggio coevolvono: molte delle attività cognitive sono influenzate dal linguaggio che va ad assumere un valore adattivo ampliando la gamma di comportamenti possibili di una specie nel proprio ambiente. Molto probabilmente, ad un certo punto della nostra storia evolutiva gli umani, che già avevano sviluppato un linguaggio, grazie ad un contesto sociale particolarmente complesso, hanno iniziato ad usarlo per educare i loro piccoli e soprattutto per pensare sviluppando coscienza di sé.
Quindi, la specificità dei linguaggi umani non va ricercata né nel presunto concetto di onniformatività, cioè della capacità di esprimere qualsiasi significato, né nell’uso di un canale vocale-uditivo e tanto meno in delle capacità cognitive superiori innate ma al contrario va assunta la posizione di Darwin che crede ci sia stato un passaggio da una forma semplice ad una più complessa, tenendo conto della specificità di ogni forma di vita in relazione con l’ambiente.
L’argomento proposto è trattato molto seriamente senza mai risultare di difficile interpretazione. Cimatti non dà nulla per scontato e cerca di fornire spiegazioni di ogni concetto proposto. Una buona base per chi fosse interessato ai fondamenti biologici della comunicazione e anche per quei lettori non specialisti incuriositi dai sistemi di comunicazione degli animali non-umani.

Zoosemiotica cognitiva

Indice
Premessa di D. Gambarara
Introduzione
Capitolo 1 — Interazione diretta ed interazione semiotica
1.1 - La soglia semiotica; 1.2 - Interazioni non semiotiche (1.2.1 — Il modello ingegneristico della comunicazione; 1.2.2 — Il codice genetico e la ‘comunicazione cellulare’; 1.2.3 — L’inganno non semiotico; 1.2.4 — Relazioni unidirezionali; 1.2.5 — La comunicazione chimica; 1.2.6 — Stimoli, meccanismi scatenanti ed evocatori); 1.3 - Due tipi di errore; 1.4 - L’interpretazione come processo cognitivo; I.5) LA comunicazione nei linguaggi animali; I.6) Il ruolo del ricevente; 1.7 - Comunicazione e ruolo dell’ambiente; 1.8 - Comunicazione ed espressione
Capitolo 2 - Le funzioni nei linguaggi animali
2.1 — Funzione referenziale (2.1.1 — Significato e referente; 2.1.2 — La danza delle api; 2.1.3 — I segnali d’allarme dei cercopitechi; 2.1.4 — Rilevanza biologica della funzione referenziale); 2.2 — Funzione conativa (2.2.1 — Far fare agli altri ciò che si vuole; 2.2.2 —L’inganno semiotico); 2.3 Funzione fàtica; 2.4 — Funzione espressiva (2.4.1 — riconoscimento individuale: all’origine dei nomi propri); 2.5 — Funzione metalinguistica; 2.6 — Funzione estetica; 2.7 — Funzione cognitiva
Capitolo 3 — La comunicazione interspecifica
3.1 — Storia degli esperimenti (3.1.1 — Parlare con le mani: Washoe; 3.1.2 — Sarah, la scimmia che legge; 3.1.3 — Lana e lo yerkish; 3.1.4 — Koko; 3.1.5 — Dialoghi bestiali; 3.1.6 — Alex, il pappagallo parlante; 3.1.7 — I delfini ci capiscono; 3.1.8 — Chantek l’orango; 3.1.9 — Kanzi e Mulika, gli scimpanzé poliglotti); 3.2 — Le critiche: cavalli astuti e scimmie passive (3.2.1 — Essere o apparire; 3.2.2 — Nim Chimpsky e la grammatica; 3.2.3 — A che serve una parola?); 3.3 — Conclusioni
Capitolo 4 — Linguaggio umano e linguaggi non umani
4.1 — Continuità vs discontinuità; 4.2 — I vincoli e il linguaggio; 4.3 —Universali bio-semiotici (4.3.1 — Ritualizzazione e origini del linguaggio; 4.3;2 — Percezione e linguaggio; 4.3.3 — La sintassi della percezione); 4.4 — Il canale vocale-uditivo; 4.5 — Scrittura, metalinguaggio e coscienza; 4.6 — Conclusioni: mente e linguaggio negli animali

PERCHE' AMIAMO I CANI, MANGIAMO I MAIALI E INDOSSIAMO LE MUCCHE


Libro di Melanie Joy
Animali


Un libro altamente significativo che potrebbe cambiare il modo in cui la società si pone sulla questione del mangiare gli animali. Contro l’ideologia del carnismo. Un processo alla cultura della carne e alla sua industria.

Molti di noi inorridiscono al solo pensiero che a tavola ci possano servire carne di cane o di gatto. Il sistema di credenze alla base delle nostre abitudini alimentari si fonda infatti su un paradosso: reagiamo ai diversi tipi di carne perché percepiamo diversamente gli animali da cui essa deriva. In modo inconsapevole abbiamo aderito al carnismo, l’ideologia violenta che ci permette di mangiare la carne solo "perché le cose stanno così".

Melanie Joy (psicologa e docente di psicologia e sociologia presso l’Università di Boston. Autrice di una serie di articoli di psicologia, sulla difesa degli animali e la giustizia sociale, pubblicati su numerosi periodici e riviste, è la principale ricercatrice sul carnismo, l’ideologia che giustifica il mangiare la carne degli animali ) analizza le motivazioni psicologiche e culturali di questa "dittatura della consuetudine" e della sua pervasività; di come, attraverso la rimozione, la negazione e l’occultamento dell’eccidio di miliardi di animali, il sistema in cui siamo immersi mantiene obnubilate le coscienze, fino a persuaderci che mangiare carne più volte al giorno sia naturale, normale e quindi necessario.

Intervistando i vari protagonisti dell’industria della carne, esaminando le cifre dei suoi profitti e dei suoi disastri ambientali, mette in luce gli effetti collaterali sulle "altre" vittime: chi lavora negli allevamenti intensivi e nell’inferno dei mattatoi industriali di ogni latitudine; i consumatori sempre più esposti ai rischi di contaminazioni e insalubrità; l’ambiente stesso, e il nostro futuro sul pianeta.